Mons. ROMERO, martire e santo: una testimonianza- Alfonso BARBARISI – CONVEGNO NAZIONALE AIDU, Napoli 19 ottobre 2019, Palazzo Serra di Cassano
Questo mio intervento sarà solo una breve testimonianza per la modestia del relatore e la particolare riservatezza della figura di Mons. Oscar Arnulfo Romero, Arcivescovo di El Salvador dal 1977-1980.
Ho ritenuto ricordare Mons. Romero, che io già ebbi modo di conoscere ed apprezzare durante la sua attività, alla fine degli anni ‘70 dello scorso secolo, attraverso le sue omelie già pubblicate allora in Italia, perchè tra due grandi Personaggi, un Papa, e un Docente-Politico, fosse giusta anche la presenza di una Figura di lontana estrazione, una figura sommessa, ma che l’amore verso Dio e verso le Sue Creature lo ha ingigantito e dalle sue modeste premesse è arrivato al martirio in “odium fidei” per una fede profonda, radicale, senza infingimenti, vissuta appunto come dice Paolo nella lettera agli Ebrei:
“perché, per la grazia di Dio, egli (Gesù) provasse la morte a vantaggio di tutti ” (2,3 – 11).
Il sacrificio di Romero di 40 anni fa, durante la santa Messa, nel lontano El Salvador, la più piccola, insignificante nazione dell’ America, il Pollicino dell’ America, come la chiamano loro stessi, domenica 14 ottobre 2018 è diventato offerta a Dio per tutti, per tutti noi, non solo per i Salvadoregni, che, già da quel dì del marzo dell’80, lo sentirono loro ed iniziarono a venerare la santa memoria, a prescindere dalla fredda inerzia di reazioni ufficiali, perchè lo sentivano già un’ emblema della Chiesa profetica, che si sacrifica per amore, di chi non ha voce.
Il dramma, esistenziale e vocazionale, di Romero si racchiude in queste sue riflessioni:
“Temo la debolezza della mia carne, ma chiedo al Signore di darmi serenità e perseveranza. E anche umiltà……Affido anche alla sua provvidenza amorosa tutta la mia vita e accetto con fede la mia morte per quanto difficile essa sia…Mi basta, per essere felice e fiducioso, sapere con certezza che in lui è la mia vita e la mia morte, che, nonostante i miei peccati, in lui ho riposto la mia fiducia e non resterò confuso ed altri proseguiranno con più saggezza e santità il lavoro per la Chiesa e la patria” … io aggiungo per l’intera umanità.
Sono le parole del suo diario, scritte durante l’ultimo ritiro spirituale ignaziano ad un mese dalla sua fine.
Nei tre anni ed un mese in cui fu Capo della Chiesa Salvadoregna avvennero cose tremende ne El Salvador!
Mons. Romero venne nominato, in un clima di forte tensione e crescente violenza, di incertezza e repressione, non solo, tra popolazione e coalizione governativa, ma anche tra Chiesa locale e Governo perchè l’arcivescovado era già, da prima di lui, impegnato a tutti i livelli, nella difesa dei diritti umani e nel denunciare la grave oppressione economico-militare.
Pensate che anche possedere una Bibbia era considerato un atto ostile, rivoluzionario e spesso i catechisti la dovevano nascondere sottoterra per non essere arrestati e torturati.
Per altro la nomina di Romero, uomo mite, timido, schivo fu gradita dal Governo, che riteneva che con questa nomina si potesse raffreddare e frenare l’attivismo della Diocesi.
Romeo, per subito, rifiutò l’offerta della classe imperante di essere ospitato nei quartieri ricchi della città e si accomodò nel Piccolo Ospedale delle Suore Carmelitane, nella cui Cappella ebbe il Martirio.
Certo Mons. Romero, pur essendo apprezzato da giovane, tanto che fu inviato a Roma a perfezionare la sua preparazione teologica e da tempo era Segretario della Conferenza Episcopale Sudamericana, precedentemente alla nomina, non presentava il carattere di un uomo di azione, ma la sua chiamata a Capo della Chiesa Salvadoregna lo mise davanti ad uno spettacolo orribile e alle sue responsabilità: le proteste per l’ elezioni presidenziali, avvenute quasi contemporaneamente alla sua nomina, con brogli e violenze, provocarono un centinaio di morti tra i manifestanti e … dopo un mese dalla sua nomina fu ucciso un Padre gesuita, suo intimo amico, Rutilio Grande,
In verità, durante i tre anni della sua missione arcivescovile vennero uccisi altri cinque sacerdoti; credo che sia bene che io lo ricordi, in questi tempi confusi, perchè, tra i Chierici di Santa Madre Chiesa, c’è tanta fede e tanti martiri! e …non solo devianza, anche se questa fa più rumore ed audience sui mass media dei denigratori della Chiesa cattolica apostolica romana, a cui Pio X aggiungeva un altro aggettivo … PERSEGUITATA!
Permettetemi una digressione e di nominare, tutti e cinque, questi martiri Sacerdoti: Alfonso Oviedo, Ernesto Moto, Octavio Luna, Rafael Placido, Alirio Macias.
La repressione più crudele, quindi, imperava intorno a Mons. Romero.
Di certo la sua incondizionata fede in Cristo Gesù fece capire a Romero con maggiore intensità di prima ( … ma, non nascondiamoci, che ci poteva essere anche un’ alternativa più comoda!) che la sua missione riconciliatrice non poteva più passare attraverso il silenzio o il compromesso e la sua fede diventò indomita!
Egli trovò la forza e la determinazione di denunciare, senza alcun timore, le perversità storiche del peccato e tutte le situazioni di sofferenza ed afflizioni del suo popolo.
Attraverso la radio della Diocesi faceva arrivare le sue omelie domenicali a tutto il suo popolo.
Le sue omelie sono straordinariamente illuminate dalla fede e da un coraggio umano indescrivibile per le circostanze: dopo aver spiegato e animato i credenti a partire dalla Parola del Vangelo, vi era un elenco tristissimo di tutti gli abusi spaventosi, che i fedeli subivano e nel contempo metteva in guardia i cristiani a non farsi trascinare, pur nella tragica situazione, nella violenza oppositiva.
Toccanti erano le sue parole alla radio della diocesi: erano un’analisi coraggiosa e puntuale dei fatti della settimana ed, ancor oggi, mostrano un quadro vivo di sofferenze e di oppressione, e la sua grande lucidità, la sua compartecipazione, la sua pietà per tali sofferenze, ma mostrano ancora, ecco la sua fede, grande e genuina, la sua forte speranza, altrettanto genuina, che non si ripetessero più.
Questa speranza non era rassegnazione per quegli avvenimenti così gravi, che spezzavano il cuore di un uomo mite e di pastore rigoroso, come lui, era speranza in Dio e nella Resurrezione.
Ancora dai suoi diari:
“Mi costa accettare una morte violenta, che in queste circostanze è molto possibile. Il padre Azuce (il Gesuita che impartiva gli esercizi) dice che Dio ha sostenuto i martiri e se necessario lo sentirò molto vicino nell’offrirgli l’ultimo respiro… ma più che il momento di morire conta il dargli tutta la vita( non solo la morte) e vivere per lui”.
Questo è il messaggio di Romero!
Questo, a mio avviso, è il grande insegnamento di un Martire per la fede, di tutti i Martiri, non è solo il martirio il segno di una fede vissuta, se mai è il culmine. La fede Romero l’ha declinata ogni giorno, quando, mentre parlava, vedeva da una parte la sofferenza degli ultimi e dall’altra il suo martirio e non indietreggiava, se mai tremava, ma non indietreggiava!
La fede si vive ogni giorno, ogni momento, quando anche gli amici, e chi ti vuol bene, non ti capiscono o, ancor più, ti ostacolano, non c’è calcolo nella fede, non ci sono infingimenti, c’è solo la fiducia e la grande speranza in Dio, che è risorto per noi.
Romero non era capito dagli stessi confratelli Vescovi, forse anche da tanti della Chiesa Romana: egli andò profeticamente avanti, comunque, sapendo che alla fine della strada c’era il martirio, ma credendo, anche, che c’era la misericordia di Dio Onnipotente.
La Santa Sede ha riconosciuto la SANTITA’ SCOMODA di Oscar Arnulfo Romero, che univa, nella missione del Pastore, in modo indissolubile Vangelo, Chiesa e Popolo: tre amori a cui lui, Oscar Arnulfo Romero, ha scelto di restare fedele, con la stessa fedeltà, che aveva verso di Dio e con essa fino al dono della vita.
La mia rappresentazione simbolica di Oscar Romero, mentre vedevo la sua Canonizzazione in TV, era di un uomo umile, di un Chierico con la sacra stola, di un volto mortificato per le violenze sul suo Popolo, avvinto ai piedi sanguinanti di Cristo Gesù Crocefisso e teorie di umili cristiani, ammazzati, perseguitati, vilipesi, avvinti, a loro volta, fortissimamente a lui, alle sue vesti e alle sue membra in uno sforzo, per raggiungere la Croce, teoria infinita di anime, che anelano Dio e il suo Amore e la sua verità e che hanno trovato in Mons. Romero il tramite verso Dio.
Egli è stato, col suo esempio, la via per una fede sincera e vissuta del suo Popolo e pegno di resurrezione degli ultimi, dimensione profetica di una Chiesa viva, Sposa di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.
Concludo con il Concilio Vaticano II, che sintetizzano il senso della vita di Romero:
Cristo è venuto per salvare l’uomo intero (corpo e anima) e la sua missione è stata integrale. Per questa ragione, il messaggio e la missione della chiesa ha ripercussioni molto forti nella società in cui vive, che si può definire realtà politica. La chiesa ha il diritto e l’obbligo di pronunciarsi anche su questo stesso ambiente politico quando lo esige la difesa dei diritti umani fondamentali della persona o la salvezza delle anime, utilizzando tutti e solo quei mezzi che siano conformi al Vangelo e convergano al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle circostanze.
(Vat. II. GS. 79). Ivi, 95.
Cristo è venuto per salvare l’uomo intero (corpo e anima) e la sua missione è stata integrale. Per questa ragione, il messaggio e la missione della chiesa molto forti nella società in cui vive, che si può definire realtà politica. La chiesa ha il diritto e l’obbligo di pronunciarsi anche su questo stesso ambiente politico adiritti umani fondamentali della persona o la salvezza delle anime, utilizzando tutti e solo quei mezzi che siano conformi al Vangelo e convergano al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle circostanze.
( II. GS. 79). Ivi, 95.